giovedì 5 giugno 2008



Paolo Sorrentino firma un altro dei pochissimi film italiani che ho visto. Il Divo (permettetemi la maiuscola), la spettacolare storia di Giulio Andreotti, un uomo solo. Sorrentino dipinge grottescamente l'Italia dei primi anni novanta, perchè grottesco era (è?) il Paese quanto i suoi abitanti. Ci consegna un film che narra la pochezza degli accadimenti rilevanti, in una Nazione sofferente per il lancinante dolore dell'omicidio Moro. Omicidio capace di colpire ogni volta come un pugno allo stomaco. Un ricordo ricorrente nella memoria del protagonista come in quella italiana. Ma sono passati anni dal delitto Moro, quello che accade negli anni novanta non sposta il "potere". Dietro ogni crimine secondo molti, secondo i più, c'era Andreotti. "E' inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene." Questa frase racchiude il film intero, centrato su un uomo solo che in nome del potere sacrifica tutto e tutti. Presenti tutte le battute al fulmicotone più famose di Andreotti, manca forse la più incredibile, forse quella più celebre: "il potere logora chi non ce l'ha". Un film bello, intenso con un Toni Servillo superlativo, capace di scavare profondamente dentro al personaggio che deve raccontare, senza cadere mai nella caricatura e consegnandoci un'interpretazione piena e tutta da gustare. Sorrentino merita le ultime acclamazioni di Cannes e si pone prepotentemente tra i cineasti eredi (finalmente) del neorealismo rosselliniano. La realtà torna ad essere protagonista di un cinema italiano latitante. Con Sorrentino finalmente torniamo a parlare di cinema, finalmente ri-evoluto, finalmente capace di ri-raccontare, finalmente capace di ri-appassionare. Finalmente.

Nessun commento: